di Pino Cinquegrana (Antropologo)
Riti, credenze, obblighi e divieti fanno del mangiare la vera conoscenza delle diverse popolazioni che abitano le terre calabre. Questo ci permette di comprendere il vivere tout-court dei calabresi secondo il cibo nelle diverse costumanze: battesimo, matrimonio, lutto, compleanni, festa del santo patrono e così via. Il cibo quindi diventa un viaggio lungo le ricorrenze che nella tradizione rimane alterato: Natale: si mangiano le tredici cose (tredici prodotti segno di abbondanza, anche perché come dice un vecchio proverbio calabrese cu’ dijuna notti i Notali mori javanzi comu nu’ cani [chi fa digiuno la notte di Natale fuori all’agghiaccio come un cane]). Si comincia con la pasta e mollica e alici, per proseguire con quella con broccoli e proseguire con le fritture; fondamentale è, secondo la tradizione, l’abbondanza della frutta secca. Epifania: si consumano le tredici cose (che il mito greco chiama Pranzo della fortuna) come per il Natale. Carnevale: non possono macare i fileja con carne di maiale e sanguinaccio. San Giuseppe: A San Nicola da Crissa, nel vibonese, si mangia La vuccatejra; a Cosenza non può mancare la pastiera. Pasqua: ovunque nella regione vi è la preparazione dei pani-dolce: forme diversi in cui l’impasto è guarnito con uova. Sulla tavola imbandita non deve mancare l’agnello soffritto o al forno e le frittate di ricotta e salsiccia. San Rocco: durante la giornata dedicata al santo di Montpellier vengono preparatiti dolci votivi raffiguranti parti del corpo indicanti la tipologia della richiesta di una grazia. Pani-dolci glassati che divengono offerta di intercessione. Una tradizione che accomuna molti paesi (Acquaro, Dinami, Maierato, Sant’Onofrio, Soverato, Mileto. Brodi di ceci, grano cotto (purgia), granturco, fave tostate, fichi secchi, miele, formaggi, verdure saranno la nuova abbondanza della tavola nei diversi giorni della festa. Per ogni occasione, il cibo dai primi ai secondi ai dolci e alla frutta, non è solo per i vivi, ma anche per i morti ai quali si ricorre con una ritualità mediatrice dicendo, prima di iniziare il pasto, ‘ngloria e suffragio di [e si dice il nome], così facendo al defunto perviene, secondo la tradizione popolare calabrese, il sapore del cibo. Il cibo e le bevande si prestano ad usi magici e terapeutici: pozioni preparate nel rispetto di specifiche ritualità suscitano amore e odio nel cuore di chi li ha sorbite; a San Giorgio Morgeto, nel cosentino, colui che mangia fichi secchi prima del tempo usuale (maggio) si crede che gli escano i vermi dalle orecchie. Comunque tutto il mangiare, nella tradizione calabrese, deve essere accompagnato da un buon bicchiere di vino rosso o bianco che sia perché come dice il proverbio: u mangiari senza vivari e tronari senza chiovari [mangiare senza bere è come se il tempo tuona ma non piove.]