di Pino Cinquegrana – Antropologo
I paesi di Calabria di fine Ottocento ed inizio Novecento sono ancora con poche strade, inesistenza di reti fognarie e scarsa illuminazione (G. Staglianò/M. Gullì; 1982:37-40). Le immondizie rimangono sulla pubblica strada fin quando la buona volontà degli abitanti le rimuova in occasione di processioni e di feste (A. Valente; 1976:34). Le case di contadini e piccoli artigiani dei paesi di Calabria, per lo più mono e bilocali, sono prive di comodità. Le lucerne a olio danno quel poco di chiarore necessario, a sera, per cucinare ervi stranghiati (suffritte con mollica, aglio, olio d’oliva e peperoncino); si cucinava davanti all’uscio nella tiana (vaso per terracotta usato per cucinare sul tripode).
Le terre, quasi tutte appartenenti a baroni e marchesi, vengono date in fitto e poco viene lasciato a chi butta sudore come sangue che, tra l’altro, deve guardarsi dal brigantaggio di campagna e dall’abigeato (F.S.Nitti; 1968:152). I signori ci tengono sotto i piedi… ci trattano come besti… loro si preoccupano di mangiare bene e dormire… non ci vengono neppure vicini e il solo modo di andare vicino a loro è di portare qualcosa allora sono tutti sorrisi e accoglienza. (Ibidem).
Per non fare fuggire tanta manovalanza a basso prezzo la legge del 25 maggio 1876 chiudeva ogni speranza ai contadini di potere emigrare, fuggire da un padrone chi no si gurda mai (mai contento del lavoro fatto):
gurada patruni chi trovammi st’annu
voli fatiga assai e pocu guversu.
[guarda che padrone abbiamo trovato quest’anno/vuole molto lavoro ma a basso prezzo].
L’emigrazione divenne l’unica possibilità di risollevarsi da una continua e disperata miseria: l’unica forma di ribellione alla violenza e al sopruso fisico, ai rapporti di soggezione personale, umiliante e gravosa, che le masse rurali vivono nei confronti del proprietario (F. Piselli; 1981:82). Chi clandestinamente era riuscito, senza non pochi disagi, ad attraversare l’Oceano, faceva giungere al paese notizie di un altrove che pur pretendendo dura fatica, dava in cambio ottimi salari e si potevano risparmiare, in un anno, persino mille lire. Accumulato il denaro per il viaggio l’emigrato partiva e tornava e, al paese, comprava la terra e la casa, faceva la dote alle figlie per maritarle in modo conveniente. Essere figli di un mericano era percezion di benessere, buon partito da condividere. Per un riscontro sui salari ai calabresi d’aAmerica rimandiamo a H.J. Habakkuk/M. Postan (1974:740).
Chi passa il mare compra la casa e la terra sottolineava in un comizio il sindaco di Vibo Valentia Luigi Strani nel 1904, per incentivare l’emigrazione. Padri e figli fuggono in America quando il barone di Longo (CS)rimproverò uno dei suoi coloni, che aveva mandato il proprio figlio a scuola per imparare un mestiere e e diventare mericano, il mezzadro rispose “ma lei signor barone manda pure suo figlio a scuola! – “è naturale , rispose il barone, ma se tutti i contadini si mettono ad andare a scuola, chi lavorerà la mia terra?”- “be, rispose il contadino, suo figlio potrebbe farlo”.
A partire dal 1870 e fino al 1913, una marea di meridionali lasceranno le terre alle donne e ai ragazzi e partiranno verso le Americhe dove divengono i navy (operai) nelle mani dei nuovi sfruttatori che approfitteranno della loro condizione di greenhorn immigrant (spaesamento). (A. Valente 1976:37).
Qualcuno non ritornerà più al paese ed altri saranno completamente dimenticati. L’emigrazione transoceanica aveva due direzioni: l’America del Nord e l’America del Sud. Nell’America del Nord gli italiani erano trattati come cani, al gradino più basso c’erano i negri. Moltissime furono le vedove bianche …l’America del Sud era detta l’America d’u scuordu ossia della dimenticanza.ma nonostante tutto il sogno americano attirò sempre, negli anni una tonnellata umana come scrive Pasquino Crupi.
Quanta verità c’è in questa storia.
Io e la mia famiglia non abbiamo vissuto questi disagi.
Però sentivo raccontare e mi venivano i brividi.
Per fortuna che tutto è cambiato.
Adesso l’America si trova in Italia per quelli che sanno sfruttare la terra.
Complimenti per questo racconto.
MariaVittoria