L’artigianato e l’habitat umano nelle città con la prospettiva dello sviluppo sostenibile e una forma per incentivare il turismo sostenibile.
Sono almeno altri due gli aspetti che meritano di essere sottolineati a proposito di questa forma di vocazione quasi naturale dell’artigianato per un modello di sviluppo locale sostenibile. Sul ruolo decisivo dell’artigianato sullo sviluppo locale, perché sia appunto locale e non importato o ancora peggio imposto dall’alto (con le tecniche delle “scrivanie“), non vi è più alcun dubbio: ma ritorneremo su questo punto. La cosa che qui vogliamo accentuare è che l’artigianato è anche una forza produttiva coerente anche con lo sviluppo “ sostenibile “.
Riflettiamo, per esempio, su due aspetti di questo ruolo:
- La manutenzione urbana nella sua fisicità: la città è una “ casa “, un rifugio, un habitat, dove l’uomo ha cercato, da sempre, un comfort che la vita nomade, priva di patrimonio, priva di capitali, priva di sicurezze, non gli assicurava in modo continuativo e allo stesso tempo dinamico. La città è un’invenzione straordinaria: nel suo disegno funzionale e democratico, nei suoi materiali e nelle sue scelte architettoniche, nelle sue strade, vicoli e percorsi, nelle sue reti, da quella idrica, a quella energetica, a quella degli scarichi, dei rifiuti, del riscaldamento, fino a quella dei rifornimenti alimentari. Invenzione cominciata bene, elaborata in modi anche esemplari, come numerose città (soprattutto di media grandezza) possono dimostrare, ma che ha avuto la sfortuna di incappare, negli ultimi cinquant’anni, sull’orlo di questo immenso “ buco nero “ che noi chiamiamo la civiltà contemporanea, dove in quasi tutti gli aspetti di questa fisicità abbiamo avuto performances di intelligenza molto più basse della media di tutti i periodi precedenti, sia nell’uso dei materiali (devastante e osceno), nella configurazione delle architetture (se vogliamo chiamare tali le edificazioni orrende di quasi tutta l’edilizia urbana dal dopoguerra a oggi) , nella scelta delle catene di fornitura alimentare, con la distruzione sistematica delle nicchie di qualità dei prodotti a beneficio di un’omologazione generalizzata, e così via. Ma soprattutto nella mancanza di una manutenzione programmata, sottile, continua. La caduta della strategia della manutenzione coincide con la caduta d’interesse e di riconoscimento dei mestieri che la determinano. La loro assenza dalla città, la loro riduzione a ruoli marginali, sempre meno compatibili con le logiche d’impianto e di gestione urbana decise da una lunga successione d’interessi di predazione e di sfruttamento intensivo e sconsiderato delle risorse di spazio urbanistico, con il ricorso a progettazioni paranoiche, e con la latitanza di burocrazie municipali e regionali prive di qualsiasi scintilla propria dell’homo erectus. Ora, queste riflessioni sullo sviluppo urbano sostenibile, la Carta di Aalborg, e le crescenti minacce che derivano dal pessimo rapporto tra habitat urbano e natura o ambiente circostante, per non parlare degli effetti dei cambiamenti del clima, degli effetti delle piogge, dei fiumi che debordano sempre più spesso ecc. hanno finito per convincere anche i più accaniti renitenti che andando di questo passo non rimarrebbe nulla persino per loro, pur abituati a divorare all’ingrosso. E’ il momento, quindi, di risanare le ferite, e nessuna categoria può rappresentare meglio questo lavoro minuto, quotidiano, appropriato di rigenerazione e di rinascita come quella artigiana, anche con la nascita di “ nuovi mestieri artigiani “ come quello che in questo stesso numero è presentato (la task force di tecnici idrici per la manutenzione delle acque).
- La manutenzione urbana nelle sue reti di civiltà, di comunicazione, di creatività: le città sono, senza ombra di dubbio, laboratori di produzione della civiltà. Possono essere ancora oggi un luogo dedicato alla generazione di una società aperta, multietnica, legata al mondo. Sono lo scenario di rappresentazione della cultura e dell’identità di una popolazione, dove essa concentra i suoi stili di vita, i suoi stili d’arte, di architettura, i suoi monumenti, i suoi musei, dove essa colloca i suoi nodi fondamentali delle reti, sia di comunicazione per acqua, per terra e nell’aria, così come le sue reti di scienza, di ricerca e d’innovazione. In paragone a queste aspirazioni, la carenza di una cultura del risultato, con quelle condizioni che Edith Cresson, nel suo Libro Verde sull’innovazione, identifica come le più favorevoli al sorgere d’imprese originali, di scoperte, di pulsioni verso il futuro, porta le nostre città a soffrire di avitaminosi, di spegnersi in una riproduzione dell’esistente, in una celebrazione del già visto, in un atteggiamento narcisistico ed autoreferenziale delle sue leadership, che ignorano, ad esempio, che la forza e la densità della presenza artigiana in una città corrobora anticorpi potenti e decisivi contro il degrado, contro la povertà di idee e di soluzioni praticabili e umane, contro la perdita di patrimoni conoscitivi ed applicativi di tecnologie appropriate che erano, sono e saranno sempre coerenti con lo sviluppo sostenibile e con quel metodo della manutenzione delle cose, per non dire degli uomini stessi, che oggi vediamo così poco in giro.
Nella nostra area la tradizione artigiana è preponderante su quella industriale : le industrie non sono mai decollate e viviamo a ridosso di un distretto turistico tra i più importanti d’Europa : l’artigianato (soprattutto della edilizia e della manutenzione ) si è molto specializzato, e nelle città del Veneto Orientale (San Donà, Portogruaro, Oderzo, Motta di Livenza…) si percepisce la presenza di questo artigianato edile diffuso, competente, legato ancora a forme di edificazione esteticamente sostenibili : spettacoli osceni ed ecomostri per fortuna non si vedono e se anche vi sono, come ovunque, le solite porcherie e brutture, grazie al cielo la loro intensità e frequenza è minore che in altre città del Veneto stesso, dove il territorio urbano è stato letteralmente coperto di offese al paesaggio. Ma nonostante questo, occorre perseguire un progetto di manutenzione urbana con criteri di qualità totale e l’urgenza di una scuola, di un centro, di una “ cellula madre “, dove si formino nuove generazioni di giovani che, con intelligenza e anche con l’uso delle nuove tecnologie, sappiano rielaborare il tramando di quelle tradizionali e concrete in una delicata armonia tra conservazione, manutenzione e vocazione a prefigurare già ora, le città del futuro. Già esiste a San Donà un orientamento politico a valorizzare il legame tra l’Istituto Universitario di Architettura e il nostro contesto : facciamone un progetto che consenta di valorizzare in primo luogo l’artigianato e la sua congenita competenza. Prof. Romano Toppan Docente di Economia del turismo e della cultura
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