Il luogo che Gioacchino da Fiore scelse per fondare il primo monastero.
Jure Vetere, San Giovanni in Fiore (CS).
La descrizione dettagliata sulla sua storia, qui di seguito, è di “Alfonso Morelli, team Mistery Hunters”.
“Il Protocenobio di Jure Vetere o Fiore Vetere è la prima fondazione dell’Ordine Florense edificata dall’abate Gioacchino da Fiore. Alla località fu dato il nome di Flos (fiore) a simboleggiare metaforicamente che là, come una nuova Nazareth, dovesse fiorire la speranza di un profondo rinnovamento dello spirito. Il sito, in territorio di San Giovanni in Fiore dal quale dista circa 5 km, si trova su un pianoro costituito da due terrazze che si distendono fino al corso dell’acqua, al centro di una piccola vallata chiusa, isolata, circondata da versanti montagnosi ripidi e ricchi di boschi. L’Abbazia era ubicata in un luogo perfetto secondo Gioacchino, ove regnasse la pace e la tranquillità, e dove si potesse rigenerare la spiritualità perduta. Assieme al monastero vennero realizzate anche delle dipendenze ad utilizzo dei monaci quali officine, laboratori, ospedale, stalle e granai, oltre alle terre per la coltivazione e il pascolo. La realizzazione del nuovo monastero non fu semplice. Con la morte del pacifico re Guglielmo II, il governo del nuovo sovrano contestò l’insediamento monastico e diede disposizione ai suoi funzionali di adottare i provvedimenti necessari. Gli esattori fiscali e gli amministratori del patrimonio Reggio della Val di Crati cominciarono a molestare, ad affliggere e ad atterrire i monaci, infliggendo loro minacce e violenze. Gioacchino fu pertanto, costretto a recarsi a Palermo da Tancredi per supplicare il re di non essere «cacciati come cervi in quella parte della Sila che aveva scelto» e ottenere il permesso di potersi là stabilire. Considerata attentamente la questione sotto tutti i punti di vista, il re ritenne opportuno far valere le ragioni dei frati. Cominciarono però le controversie con i monaci Basiliani del vicino Monastero dei Tre Fanciulli, in quanto questi ultimi si servivano delle terre donate all’abate, per farvi pascolare i loro greggi. In più Gioacchino aveva intuito che, se il suo cenobio voleva avere un futuro, doveva occupare una posizione di prestigio e dotarsi di vasti possedimenti dai quali ricavare redditi e prodotti per il sostentamento dei monaci e avere un ruolo attivo nell’economia sociale del tempo per garantirsi la fiducia e il rispetto della nobiltà e attirare sempre nuove adesioni. Gioacchino andò incontro al re Enrico VI durante il suo attraversamento della Calabria, per esporgli le esigenze del suo piccolo cenobio, avere la riconferma di quanto ottenuto da Tancredi e chiedere altre concessioni e privilegi. Il giovane imperatore accolse benevolmente le richieste e fece donazione alla comunità monastica di Fiore di una vasta estensione di terre coltivabili, selve e corsi d’acqua che allargava in tutte le direzioni la donazione di Tancredi e comprendeva pressappoco l’odierna superficie territoriale del Comune di San Giovanni in Fiore. Gioacchino non vide mai completarsi definitivamente la sua opera a causa della sua morta improvvisa per malattia il 30 marzo del 1202. A sostituire Gioacchino a capo del monastero fu Matteo, suo seguace, che ben presto si ritrovò a dover affrontare numerosi problemi. Il periodo più difficile per i Florensi, avvenne nell’anno 1214, quando a fine estate, un vasto incendio devastò il protocenobio e gli edifici contigui. Quest’incendio difatti sancì la chiusura del monastero, il luogo scelto da Gioacchino nel 1189, poiché da qui a breve i monaci si trasferiranno definitivamente in quella che diverrà l’Abbazia Florense di San Giovanni in Fiore. Questo luogo sacro, dopo esser stato abbandonato, venne per secoli dimenticato tanto che non vi è traccia nella cospicua documentazione florense. Il sito è stato riportato alla luce a seguito di perlustrazioni avviate nel 1997 e campagne archeologiche effettuata a fase alterne tra il 2003 e il 2005. Il luogo archeologico è stato abbandonato e recintato solo nel 2009 onde evitare che pascoli e bestiame presenti in zona, potessero accedervi e recarvi qualche danno. I resti sono in parti ricoperti mentre altri sono esposti alle intemperie del luogo. L’Abbazia di Fiore Vetere ha un’architettura singolare, che in qualche modo influenzerà sia lo stile della Abbazia Florense che di altre costruzioni florensi. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce tratti delle fondamenta e resti dei muri perimetrali di forma rettangolare con l’entrata rivolta a occidente e l’abside, largo e piatto, a oriente. Le fondazioni dei muri, profonde 1,60m, sono più evidenti sul lato settentrionale e occidentale, mentre su quello meridionale sono presenti solo relativamente alle platee di fondazione larghe 1,10m circa. L’edificio era costituito da una navata centrale larga 8,10m, lunga 26m circa e terminante con un presbiterio circolare definito con grandi conci di granito grigio silano spianati e squadrati. Dietro l’abside si sviluppa un coro quadrangolare. Ai lati c’erano due ambienti, uno lungo come la navata e l’altro molto più corto, terminanti anch’essi con piccoli absidi delle cappelle semicircolari. All’interno della chiesa c’erano altre quattro porte: una al centro della parete divisoria tra la navata centrale e la navatella laterale, altre due sul presbiterio verso gli spazi laterali absidati e un’altra ancora che dalla presumibile cappella di destra portava all’esterno, forse nel chiostro. Nell’angolo settentrionale dell’abside è stata rinvenuta una fossa tombale. Sullo spazio esterno meridionale a destra dell’abside è stata scoperta un’altra fossa per la fusione di campane e di altri oggetti metallici. La pianta mononavata con lo schema a cappelle laterali chiuse sarà ripreso in tutte le principali fondazioni florensi.