La mia visita al Santuario della Madonna di Costantinopoli di Papasidero (CS) è stata molto originale. Ad accoglierci e a guidarci è stato un grazioso amico a quattro zampe. Abbiamo percorso insieme una lunga scalinata in discesa, fino a raggiungere un ponte che sovrasta l’antico fiume Lao, attraverso il quale si giunge al Santuario, adagiato su una parete rocciosa. Il cucciolo si fermò all’ingresso della chiesa, aspettandoci e accompagnandoci fino alla nostra macchina, alla fine della nostra visita al Santuario. Oggi il fiume Lao è un ottimo percorso per il rafting, ma il suo nome antico, Mercure, ci riporta indietro nel tempo e precisamente al periodo in cui esisteva la Valle dei Monasteri o Mercurion, paragonabile al Monte Athos (sito nella Penisola Calcidica, Grecia). Il nome Mercurion potrebbe derivare appunto dall’antico nome del Lao. Questo fiume veniva paragonato quasi ad un dio, appunto il dio Mercurio, dio dei commerci. Oppure è probabile che sia esistito un tempio pagano dedicato al dio Mercurio o ancora, nel periodo medievale si venerava un santo di Cesarea di Cappadocia di nome Mercurio (III secolo). I comuni attuali che occupano questa zona sono: Aieta, Castelluccio Inferiore e Superiore, Episcopia, Laino, Latronico, Mormanno, Noepoli, Orsomarso, Papasidero, Rotonda, Tortora, Scalea e Viggianello. Anche la famosa grotta preistorica di Papasidero è denominata “Romito” (merita un album a parte), proprio dalla frequentazione di monaci eremiti. E’ probabile pure che Papasidero prese il suo nome da un abate, Papas-Isidoros, capo di un convento nel Mercurion. Il ponte fu fatto costruire da Nicola Dario nel 1904 sopra un altro ponte medievale di cui è ancora visibile la campata. L’antico ponte era noto col nome di Rognosa. Questo nome si riferisce al periodo di pestilenza che colpì Papasidero intorno al 1656 e al posto dell’attuale Santuario si trovava una chiesa ad unica navata che fungeva da lazzaretto per i malati di peste. Dal 1679 venne attuato un primo ingrandimento della chiesa e seguirono altri rimaneggiamenti verso la fine del Settecento e inizio dell’Ottocento. Nell’interno si conserva un affresco di circa mt. 2×3, collocato dietro l’altare, che risale alla seconda metà del XVII secolo.
Per la descrizione dell’opera ho preso le informazioni dal seguente sito:
http://www.papasidero.info/santuario-della-madonna-di-costantinopoli/
“Nell’esecuzione dell’Opera si possono riconoscere tre fasi: La prima fase ha visto l’esecuzione della Vergine in trono col Bambino sul ginocchio sinistro e l’Arcangelo Michele vestito di corazza nell’ atto di trafiggere con la lancia il diavolo emergente dalle fiamme (queste due ultime figure sono emerse con i restauri del 1983). La seconda fase, di poco posteriore o forse contemporanea alla precedente, ma opera di altra mano, probabilmente di aiutante poco esperto, comprende il Vescovo genuflesso a destra della Vergine. Il terzo momento, relativo a due angeli porta corona sovrastanti un grande arco ogivale coevo alla prima fase e racchiudente tutto il gruppo, è di fattura ottocentesca. Le figure affrescate rimandano a uno standardizzato filone iconografico della pittura controriformista meridionale che associava alla Madonna di Costantinopoli, il cui culto si propagò enormemente dopo la peste del 1656, l’Arcangelo Michele quale espressione “della teologia del controllo del cielo su Satana” e il Vescovo “ simbolo del potere e della gloria del sacerdozio gerarchico”. Nondimeno, l’iconografia si rivela ricca di evocazioni della religiosità bizantina, il cui lascito trapassò nella cultura controriformistica. La Madonna in trono col Bambino, infatti, già della grafia emula stilemi bizantini di antiche raffigurazioni mariane, in particolare quelle delle Madonne “nere” o “brune”, spesso note come Madonne di Costantinopoli e il cui culto decollò un po’ ovunque nel Regno di Napoli proprio a seguito della peste del 1656. A Papasidero, dietro sollecitazione della gerarchia ecclesiastica, la scelta e la primazia di questa Madonna furono legittimate attraverso una pubblica assemblea, trovandovi peraltro facile innesto grazie ad un terreno fertilizzato nei secoli altomedioevali dagli umori religiosi e culturali del monachesimo brasiliano. La Vergine di Costantinopoli, che proponeva in definitiva l’Odigitria (colei che guida), viene recuperata nel frangente epidemico anche come “portatrice di vittoria” , a riconoscimento della sua capacità di fronteggiare gli “assedi”. Una metafora dei flagelli pestilenziali e delle minacce anticristiane esorcizzati, peraltro, dalla figura di San Michele: un personaggio caro alla liturgia bizantina, ma impetrato pure come terapeuta dei mali pestiferi. E’ interessante constatare come il compito affidato alla Madonna di “vincere” la peste sia stato del tutto analogo a quello che le era stato riconosciuto con la vittoria dell’Occidente cattolico sui Turchi nella battaglia di Lepanto del 1571. Nel nostro caso, inoltre, l’Odigitria è proposta nella tipologia della basilissa (regina) e dell’aghiosoritissa (intercettrice) col Bambino a destra. Egli con una mano tiene un libro chiuso (il Vangelo o il libro con i peccati dell’umanità), mentre con l’altra indica la Vergine. Canoni iconografici passatisti, ma ripresi in un clima artistico che nel XVI secolo aveva ravvivato un “neo-bizantinismo” pittorico largheggiante in Calabria in virtù di una presenza religiosa di rito greco”.