Accompagnati dal nostro amico Gerardo Dominijanni e sua moglie Dina, i quali ci ha fatto da eccellenti guide, abbiamo visitato il borgo di Sant’Andrea.
Sono rimasta colpita dai numerosi stupendi portali, opere degli scalpellini serresi.
In modo particolare però sono rimasta abbagliata dal maestoso portale del Palazzo Damiani.
La targa in marmo posta nell’atrio dell’edificio reca la data di costruzione e di restauro, rispettivamente 1554 e 1996.
Ho appreso che la costruzione è opera dei certosini, i quali avevano fondato nell’anno Mille la grangia, che in seguito diverrà il palazzo Scoppa e oggi Istituto delle Suore Riparatrici.
Per quanto riguarda la famiglia Damiani, pare che siano discendenti diretti degli Angioini. Per questo motivo il palazzo, costruito dai certosini originariamente e poi divenuto proprietà della famiglia Damiani, fu risparmiato dai francesi durante il periodo in cui l’Impero napoleonico aveva decretato la soppressione degli enti ecclesiastici e il sequestro dei loro beni.
Il portale del palazzo è in granito e in bugnato a punta di diamante, lavorazione utilizzata nell’architettura sin dall’antichità.
Al centro della chiave di volta è presente una maschera apotropaica, mentre alla base ci sono due sculture a rilievo che raffigurano due leoni, uno a destra e l’altro a sinistra, con i volti rivolti l’uno verso l’altro. I leoni rappresentano regalità, forza, giustizia. Ai lati sono presenti pure delle figure alate e altri volti.
In Calabria abbiamo vari esempi di portali con simbologie del genere. Mi viene in mente il portale del Palazzo Romiti Cosentino di Isca sullo Ionio, con i suoi leoni o comunque sculture zoomorfe e portali di numerose chiese.
Mi sono sempre chiesta come mai tanti bassorilievi di chiese raffigurassero creature mostruose, mitologiche, segni zodiacali, sirene bicaudate, leoni all’ingresso, ecc. Gli animali fantastici erano caratteristici della spiritualità medievale, in quanto si voleva dare dei contorni fisici all’immagine del male, il male del mondo in cui si vive e dal quale si fugge soltanto ascoltando la Parola di Dio. Alcune di queste immagini hanno origini celtiche. Nel Medioevo si credeva che i leoni dormissero con gli occhi aperti per poter vigilare durante la notte. I segni zodiacali ricordano il passare dei mesi e quindi delle stagioni. E ancora tanti altri simboli e tanti altri significati.
Ed ecco un po’ di storia sugli scalpellini serresi. Lo stemma serrese porta tre Abeti e una sega da boscaiolo, una squadra da carpentiere, un martello. Strumenti che ricordano gli antichi mestieri di Serra San Bruno, quello dei carbonai, del falegname, del ferro battuto e quello dello scalpellino.
Un mestiere quello dello scalpellino, anzi preferirei definirlo un’arte nobile, alla quale non è stato attribuito il giusto valore per secoli.
I primi scalpellini furono gli egiziani che lavorarono alla costruzione delle piramidi. Furono considerati operai e non artisti in quanto avevano il compito di tagliare la pietra e smussarla con lo scalpello per costruire opere in serie.
La situazione non cambiò molto con i Greci ed i Romani.
Si ebbe un cambiamento nel Medioevo quando lo scalpellino entrò a fare parte delle Arti e dei Mestieri delle città italiane e a questi artisti venivano commissionati bassorilievi e rifiniture esterne-interne di case e palazzi.
Durante il Rinascimento lo scalpellino aveva più libertà di movimento e poteva scegliere la pietra da utilizzare. Erano bravi restauratori delle opere rinascimentali e bravi imitatori, tali da affiancare i più grandi e noti artisti del tempo.
Tra le opere spiccano macine di mulini, abbeveratoi, bassorilievi, frontoni, portali, davanzali, cornici di finestre, canali di scolo, bacili di raccolta, gradini, balaustre di terrazze, fontane, colonne, capitelli, caminetti, mortai, pestelli, stemmi, maschere apotropaiche, e ancora altro.
Il materiale che gli scalpellini usavano principalmente era il marmo, il granito e l’arenaria o comunemente noto come tufo (o erroneamente denominato tufo).
Le pietre estratte nei vari giacimenti sparsi in Calabria sono diverse tra di loro, ad esempio abbiamo il marmo rosa e verde a Gimigliano, il marmo bianco di Oppido Mamertino, la pietra arenaria giallina di Fuscaldo, la pietra verde di Delianuova, Il granito grigio di Serra San Bruno e così via.
Le condizioni in cui lavoravano gli scalpellini in passato erano disagiate. Trascorrevano tante ore in posizioni scomode, senza protezione degli occhialoni o delle maschere, sviluppavano problemi di asma, problemi respiratori.
“Serra San Bruno era rinomato in tutta la Calabria per la sua maestranza, dovuta con molta probabilità al contatto con i certosini… Dal contatto con persone colte, amanti dell’arte, le maestranze autoctone appreso il gusto del bello… Ci fu una crisi economica a Serra San Bruno nel 1600, per la pressione della fiscalità regia e della permanenza del mondo feudale”, citazione tratta dal libro: “Serra e la Certosa di Santo Stefano del Bosco del catasto onciario del 1755” di Vincenzo Cataldo e Domenico Pisani, ed. Promocultura, Gerace (RC), 2020.
Tuttavia, nel 1600, gli scalpellini lavorarono anche nel convento domenicano di Soriano Calabro. Lavorarono anche in molti altri centri della Calabria Ulteriore (Calabria greca).
Ci sono molte tracce delle loro opere in molte chiese e molti conventi, come altari intarsiati in marmi policromi.
I loro strumenti erano una serie di scalpelli, le mazze e la squadra per definire gli spigoli.
Tra il 1700 e il 1800 l’artigianato era l’attività principale dell’economia di Serra San Bruno.
Da un articolo scritto da Francesco A. Cuteri, Maria Teresa Iannelli e Stefano Mariottini: “Cave costiere in Calabria tra Ionio e Tirreno”, emerge che ci fu una intensa attività estrattiva del granito nei comuni di Nardodipace, Mongiana e soprattutto Serra San Bruno a partire dal 1500. Questo avvenne anche grazie alla presenza della Certosa. Nelle montagne serresi esistono tante cave, quali la Pietra di lu Mmienzu, Monte Pecoraro, Ladi, le Pietre Incastellate, e la Pietra delle Bocce, la Croce di Panaro, la Cava degli Agnelli, la Pietra del Signore, la Pietra del Caricatore, la Pietra di Lo Moro, Caterinella. Le pietre ritagliate venivano trainate da buoi o in groppa ai muli. È possibile visitare alcuni di questi giacimenti tramite gruppi di trekking partendo dal Parco Naturale delle Serre Rosarella e Percorrendo un sentiero che porta nel Bosco Archifòro.
Molti scalpellini emigrarono verso la Russia per la costruzione di gallerie, altri emigrarono in America e soprattutto a New York, dove trovarono lavoro nell’edilizia. Facendo ritorno a Serra San Bruno, incominciarono ad utilizzare una nuova tecnica che consisteva nell’uso di scalpelli e di cunei in ferro per tagliare la pietra in sostituzione dei cunei di legno. Questi scalpelli, nel dialetto locale, prendono il nome di “ndrilli”, derivante dal termine americano “drill” che indica la punta del trapano.
Con l’evolversi della tecnologia e soprattutto con l’avvento del cemento armato, l’impiego del granito nell’edilizia ebbe un duro colpo d’arresto.
“Scalpere” è un termine latino dal quale deriva “scalpellino”. Significa “grattare, incidere e tagliare”. Io preferisco dire che lo scalpellino è un artista che incide e taglia con creatività, professionalità, originalità, unicità e passione.