Il borgo di Squillace (CZ), oltre ad essere noto per la sua ricca storia, i suoi meravigliosi monumenti e personaggi illustri, è rinomato soprattutto per la lavorazione della ceramica, tramandata nei secoli.
Con la fondazione della città di Skilletion, avvenuta verso il VII secolo a.C. da parte dei colonizzatori greci, fu già introdotta l’arte della ceramica, rinforzata poi durante il periodo della conquista bizantina. Pare infatti che la produzione di ceramica ingobbiata e graffita, caratteristica attuale della ceramica di Squillace, derivi proprio da loro.
Ho avuto modo di visitare due fornaci antiche di Squillace, quelle delle famiglie dei vasai Conca e Commodaro.
La bottega dei vasai Conca risale al secolo XVI o XVII. Oggi è proprietà comunale, sottoposta a vincolo monumentale, recuperata nel 2010.
La bottega fu attiva fino agli anni Settanta. La fornace rientra nella categoria di quelle verticali a pianta circolare, cioè caratterizzate da un piano forato rotondo. Nella parte inferiore avveniva il processo di combustione, nella parte superiore avveniva la cottura dei manufatti. Nella bottega sono presenti le vasche di pietra dove venivano macinati i colori.
La fornace della famiglia di vasai Commodaro si trova a ridosso della torre di guardia, nelle vicinanze dell’attuale bottega dei proprietari, “Ideart”. La fornace fu utilizzata comunemente da tanti artigiani per molti secoli. L’ultima cottura venne eseguita nel 1985. Alcuni studiosi ritengono che le origini della fornace risalgano all’anno 1000, e successivamente subì rifacimenti. Secondo altri, risale al 1600. È probabile che sia nata come “calcara”, e cioè una fornace adibita per la cottura delle pietre e la produzione della calce, materiale utilizzato sicuramente per la costruzione del castello, della cattedrale e dei monasteri. La struttura dell’attuale forno si sviluppa in verticale, ma a cielo aperto, quindi senza cupola. È di pietra e la camera di cottura è circolare. Esiste il passaggio dove l’asino passava con il carico di fascine da bruciare. Si usava dapprima la legna grossa per riscaldare i pezzi e dopo si bruciavano le fascine di ulivo o di ginestra. Prima dell’infornatura, il sacerdote leggeva una preghiera di benedizione.

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