Ad accogliere i visitatori sono le tre sculture lignee posizionate a sinistra dell’ingresso del paese ed il murales che rappresenta il lupo della Sila a destra, realizzato in occasione di una delle edizioni di “Giulia Urbana”, evento nato per promuovere la bellezza dei territori, con la partecipazione di artisti urbani di fama internazionale. Le sculture in legno raffigurano il brigante Marco Berardi (noto come Re Marcone), la sua compagna Giuditta ed il traditore Lucio, realizzate dallo scultore Ferdinando Gatto.

Re Marcone nacque probabilmente a Mangone e visse nel Cinquecento. Fu educato dai valdesi di San Sisto e divenne sostenitore delle loro idee. I “Valdesi” arrivarono in Calabria a partire dal XIV secolo, dal Piemonte e dalla Provenza, a causa della pressione dell’Inquisizione in area alpina. Il movimento valdese nacque a Lione verso la fine del XII secolo, per opera di un mercante di nome Valdo, il quale decise di lasciare i suoi beni ai poveri e predicare la penitenza e la conversione. I Valdesi aderirono alla Riforma Protestante nel 1532, inserendosi nella corrente calvinista. Nonostante le persecuzioni volte ad annientarli, per cui papa Francesco ha chiesto scusa durante la sua visita in Piemonte, i Valdesi sono presenti oggi con numerose chiese. Dopo il massacro dei Valdesi avvenuto nel 1561, il brigante Re Marcone formò una banda di un migliaio e mezzo di uomini, muovendosi soprattutto a Crotone. Coi suoi rivoltosi Re Marcone cercò pure di imporre la sua autorità con tasse e funzionari di sua nomina, istituì anche delle taglie sui soldati spagnoli ed una di duemila ducati sul feudatario Marino Caracciolo, marchese di Bucchianico. Dopo qualche successo militare, il viceré di Napoli, duca di Alcalà, Pedro Afán de Ribera gli inviò contro un piccolo esercito comandato dal marchese di Cerchiara, Fabrizio Pignatelli, forte di duecento cavalieri, mille fanti spagnoli e altrettanti cavalli leggeri, che lo sconfisse senza riuscire a catturarlo e ciò fece nascere numerose leggende.

Secondo alcuni fu trovato morto insieme alla moglie Giuditta in una grotta nei boschi della Sila. Si dice che il suo corpo fu portato trionfalmente a Cosenza e deposto nel cimitero di S. Caterina. Sul teschio fu deposto un cerchio di ferro e sul petto fu scritto: “Marco re dei Monti”. Secondo altri fu rivestito di grotteschi paludamenti, con una corona di cartone in testa e fu condotto su di un asino in lugubre inefficace spettacolo per le strade di Cosenza, e deposto quindi, con un cartiglio sul petto ed un cerchio di ferro in testa, nel sepolcreto dell’arciconfraternita di S. Caterina dentro la chiesa di S. Francesco d’Assisi. Secondo altri ancora, fu catturato e torturato sino a morte. Altre voci invece lo vollero rinchiuso in una gabbia di ferro appesa al campanile della Chiesa di San Francesco di Cosenza dove i suoi resti sarebbero rimasti fino al 1860 quando Garibaldi ne ordinò la sepoltura.

Al centro delle chiavi di volta dei portali di Mangone spiccano i rilievi di volti femminili, putti su quelle delle chiese e qualche maschera apotropaica. Queste opere sono state sicuramente realizzate dagli abili scalpellini dell’area del Savuto che brulicava di botteghe e cantieri. Le scuole degli scalpellini erano principalmente quelle di Rogliano e di Altilia da dove, quest’ultima, venivano sfruttate le cave di tufo nella zona denominata “Parrere”, attive probabilmente fino agli anni ‘50.

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