Tra le storie che raccontiamo, in merito agli scrittori che hanno fatto grande la Calabria, oggi andremo a parlare di un filosofo che per non piegarsi alla chiesa inquisitrice subì numerosi processi. Al secolo Giovanni Domenico Campanella, meglio conosciuto come Tommaso, il suo scritto, la Città del sole viene studiato in tutto il mondo. Eppure, la vita di Tommaso Campanella, nato a Stilo nel 1568, non è stata tra le più facili. Infatti, venne anche processato per eresia nel 1594 e confinato agli arresti domiciliari per due anni. L’accusa di aver cospirato contro i governanti spagnoli della Calabria nel 1599, fu torturato e messo in prigione, dove trascorse 27 anni. Durante tale periodo di reclusione scrisse le sue opere più significative, tra cui La città del sole, un racconto utopico dove descrive una società teocratica egualitaria in cui la proprietà è tenuta in comune.
Figlio di un ciabattino povero e analfabeta che non poteva permettersi di mandare i figli a scuola e Giovan Domenico ascoltava dalla finestra le lezioni del maestro del paese, segno precoce di quella voglia di conoscenza che non l’abbandonò per tutta la vita.
Nel 1581 la famiglia si trasferì nella vicina Stagnano e nella primavera del 1582 il padre pensò di mandare il figlio presso un fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma il giovane Campanella, per il desiderio di seguire corsi regolari di studi e abbandonare un destino di miseria, più che per una reale vocazione religiosa, decise di entrare nell’Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina Placanica, vi fece i primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso in onore di san Tommaso d’Aquino, continuando gli studi superiori a Nicastro dal 1585 al 1587 e poi, a vent’anni, a Cosenza, dove affrontò lo studio della teologia.
La pubblicazione della Philosophia sensibus demonstrata provocò scandalo nel convento di San Domenico: un domenicano che non frequenta il convento e che rifiuta Aristotele e San Tommaso per Telesio non può essere un buon cattolico. Anche se nessuna affermazione eretica è contenuta nel libro, in un giorno imprecisato del 1591 Campanella fu arrestato dalle guardie del nunzio apostolico con l’accusa di pratiche demoniache. Non si conoscono gli atti del processo ma è conservato il testo della sentenza, emessa in San Domenico il 28 agosto 1592, contro «frater Thomas Campanella de Stilo provinciae Calabriae» dal padre provinciale di Napoli, fra Erasmo Tizzano e da altri giudici domenicani. L’accusa di praticare con il demonio e di aver pronunciato una frase irriverente contro l’uso delle scomuniche vengono a cadere, ma resta quella di essere un telesiano, di non tener conto dell’ortodossia filosofica di Tommaso d’Aquino e di essere stato per mesi «in domibus saecolarium extra religionem»: dopo quasi un anno di carcere già scontato, è allora sufficiente che reciti dei salmi e torni, entro otto giorni, nel suo convento di Altomonte.
Campanella si guardò bene dall’ubbidire all’ordine del tribunale, che lo avrebbe costretto a rinunciare, a soli 24 anni, a un mondo di cultura nel quale egli era convinto di poter offrire un contributo fondamentale. Così, munito di una lusinghiera lettera di presentazione al granduca di Toscana, rilasciatagli dall’amico ed estimatore, il padre provinciale di Calabria fra Giovanni Battista da Polistena, il 5 settembre 1592 fra Tommaso partì da Napoli alla volta di Firenze, con il suo carico di libri e manoscritti, contando su di un posto di insegnante a Pisa o a Siena.
Ai primi del 1593 Campanella fu a Padova, ospite del convento di Sant’Agostino. Qui, tre giorni dopo il suo arrivo, il Padre generale del convento venne nottetempo sodomizzato da alcuni frati, senza che egli potesse identificarli, e perciò, fra i tanti sospettati del grave abuso, anche il Campanella fu messo sotto inchiesta. Non si sa se dall’inchiesta si passò a un processo che abbia visto imputato, tra gli altri frati, anche Campanella: in ogni caso egli ne uscì innocente.
Le disavventure giudiziarie di Campanella non finirono però qui. Il 31 dicembre 1596 era stato liberato dal confino di Santa Sabina e assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva; intanto, a Napoli, un concittadino di Campanella, condannato a morte per reati comuni, Scipione Prestinace, prima di essere giustiziato il 17 febbraio 1597, forse per ritardare l’esecuzione, denunciava diversi suoi conterranei e il Campanella in particolare, accusandolo di essere eretico: così, il 5 marzo, Campanella fu nuovamente arrestato.
Ai primi del 1598 Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò diversi mesi, dando lezioni di geografia, scrivendo le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis e terminando l’Epilogo Magno. In luglio s’imbarcò per la Calabria: sbarcato a Piana di Sant’Eufemia, raggiunse Nicastro e di qui, il 15 agosto, Stilo, ospite del convento domenicano di Santa Maria di Gesù.
Per poco tempo il Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale affermò la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli prophetales, appare già l’attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche. Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma non solo, vedeva «i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze d’ogni specie.
Come detto in apertura, l’opera più importante fu senza dubbio la Città del sole, nella quale descrive una città ideale, utopica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale, di cui Campanella stesso è sostenitore, pur presupponendo razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione collettivista della società, Campanella si rifà a Platone (V secolo a.C.) e all’Utopia di Tommaso Moro (1517); fra i contemporanei dell’utopismo campanelliano è da annoverare anche La nuova Atlantide (1620) di Francesco Bacone. L’utopismo partiva dal presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che rispecchiasse la giustizia e l’uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava, come aveva fatto a suo tempo Platone. È però importante sottolineare che, mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò Machiavelli rappresenta la realtà concretamente, e la sua concezione dello Stato non è affatto utopistica, ma assume una valenza di metodo di governo, finalizzato ad ottenere e mantenere stabilmente il potere.