Forse è stato uno dei pochi scrittori conosciuti nel panorama nazionale a essere nato e morto a pochi kilometri di distanza e sempre nella provincia di Vibo Valentia. Antonio Jerocades nato a Parghelia, l’1 settembre 1738 è stato un abate, patriota e poeta italiano. Come tanti giovani era stato indirizzato dalla famiglia alla vita ecclesiastica e studiò nel seminario della vicina Tropea. Si distinse per la sua precoce abilità nel comporre versi ispirati, tanto da essere ricordato da Benedetto Croce, all’opera del Metastasio. Nel 1759 aprì una scuola privata nel paese natale. In questo periodo scrisse il Saggio dell’umano sapere, di stampo illuministico, che verrà successivamente pubblicato a Napoli, e un componimento drammatico, “La partenza delle Muse”, edito nel 1765 a Messina. Napoli e Messina, le due città che a quel tempo offrivano maggiori pubblicazioni anche ai Calabresi, che come spesso accade dovevano trovare appoggio fuori regione, nel 1700 come oggi. Per questo nel 1765, Antonio Jerocades si trasferì a Napoli. Dietro raccomandazione di Antonio Genovesi, col quale era entrato in corrispondenza, venne assunto al “Collegio Tuziano” di Sora come maestro d’ideologia.
Nel Lazio, Jerocades compose anche delle opere teatrali, in cui emergevano le sue idee democratiche, indotte dalla frequentazioni degli ambienti massonici napoletani. Secondo il clero ciociaro, tuttavia, quelle opere non si attagliavano ai giovani del collegio, tant’è che prima della rappresentazione del dramma “Il ritorno di Ulisse” in programma per il Carnevale del 1770, che conteneva alcuni intermezzi ridicoli e di stampo anticlericale, in particolare il Pulcinella da Quacquero, con palese sarcastico riferimento a Ferdinando IV, il vescovo di Sora emise un editto di censura: ne seguì un processo per eresia e sedizione, con la reclusione dell’intellettuale nel carcere vescovile. Scarcerato dopo sette mesi, nel 1771 lasciò Sora per tornare a Napoli, dove divenne popolare come poeta improvvisatore. Nel 1775, invece, ritorno’ in Calabria: qui si dedicò alla composizione delle raccolte Quaresimale poetico e ‘La lira focense’, testimonianza di quello che Piromalli ha definito «illuminismo massonico».
Scrisse anche “Esopo alla moda, ovvero le favole di Fedro” (1777), “Le Odi di Pindaro” nel 1790.
Di nuovo a Napoli, ottenne prima la cattedra di filologia nel 1791 e poi quella di economia e commercio 2 anni più tardi all’Università Partenopeo. In questo periodo fondò, insieme a Carlo Lauberg, la Società Patriottica Napoletana, coagulo dei principali esponenti del giacobinismo e dell’anti – giurisdizionalismo partenopeo (ovvero che miravano a costituire una repubblica e a limitare l’ingerenza della Chiesa nelle questioni politiche), cosa che determinò la sua incarcerazione a Castel dell’Ovo (vecchia dimora di Lucullo) e il processo, nel 1795, per apostasia, ma riebbe presto la libertà, avendo deciso di ritrattare. Anche per il conflitto interiore causato da una siffatta scelta, nel 1799 sostenne attivamente le idee rivoluzionarie, che però, in seguito alla breve esperienza della Repubblica Napoletana, gli costarono nuovamente il carcere, e quindi l’esilio a Marsiglia.
Ritornato a Napoli nel 1801, grazie all’amnistia prevista dalla pace di Firenze, Jerocades compose l’elogio di suo padre Andrea e di suo fratello Vincenzo, motivo che indusse a farlo rinchiudere nel convento dei Liguorini di Tropea, dove morì il 19 Nov. 1803. L’atto di morte si conserva nel registro della parrocchia di San Demetrio di Tropea ed è stato trascritto anche in quello della parrocchia di Sant’Andrea Apostolo a Parghelia.