Si tratta di un complesso termale conosciuto dai greci all’epoca della fondazione di Sybaris.
Il luogo, secondo la leggenda, ospitava il talamo della ninfa Calipso, figlia di Atlante, colei che tra le pagine dell’Odissea tenta di sedurre Ulisse e di convincerlo a non cercare di raggiungere Itaca.
Il bagno nell’acqua sulfurea a circa 30 gradi e i suoi fanghi spalmati sul corpo, avevano un grande effetto liberatore di ogni traccia di ruvidezza o di malattia della pelle. Per questo sorprendente effetto credevano che l’antro fosse abitato dalle ninfe chiamate lusiadi, perché liberatrici di ogni problema di salute.
La Grotta delle Ninfe ci è nota dal punto di vista archeologico attraverso una collezione conservata al Museo dei Brettii e degli Enotri di Cosenza, composta da un centinaio di lucerne romane e da 35 monete in bronzo. Le lucerne, prodotte a stampo in varie forme ascrivibili al I-II secolo d.C., presentano in gran parte una decorazione nel disco centrale (Atena, Ercole, Pegaso, Vittorie alate, maschere teatrali, animali, gladiatori, motivi vegetali) e, in alcuni casi, anche il marchio di fabbrica. Le monete sono quasi tutte combuste e non identificabili, ad eccezione di due esemplari con testa di imperatore riconducibili ad età giulio-claudia (27-68 d.C.) o flavia (69-96 d.C.). I dati cronologici così ricavati, l’entità numerica delle lucerne e la presenza della sorgente di acqua sulfurea nella grotta fanno ipotizzare che possa trattarsi di un deposito votivo.
La prima foto è di Alessandro Tucci.
Le altre foto sono mie.